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VociNuvola21

 

VOCI
Rivista di Scienze Umane

Direttore: Luigi M. Lombardi Satriani
Direttore: Antonello Ricci
Direttore Responsabile: Walter Pellegrini
Comitato Scientifico: José Luis Alonso Ponga, Jean-Loup Amselle, Marc Augé †, Antonino Buttitta †, Francesco  Faeta, Abdelhamid Hénia, Michael Herzfeld, Lello Mazzacane, Isidoro Moreno Navarro, Marino Niola, Mariella Pandolfi, Taeko Udagawa
Comitato di direzione: Antonello Ricci (coordinatore), Enzo Alliegro, Katia Ballacchino, Letizia Bindi, Laura Faranda, Mauro Geraci, Fiorella Giacalone, Fulvio Librandi, Maria Teresa Milicia, Rosa Parisi, Gianfranco Spitilli. 
Direzione e redazione: Dipartimento di Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo “Sapienza” Università di Roma, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma 
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Coordinamento editoriale: Marta Pellegrini
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Registrazione n. 525 Tribunale di Cosenza Iscrizione R.O.C. n. 316 del 29-08-2001 ISSN 1827-5095 Abbonamento annuale € 40,00; estero E 87,00; un numero € 40,00 (Gli abbonamenti s’intendono rinnovati automaticamente se non disdetti 30 gg. prima della scadenza) c.c.p. n. 11747870 intestato a Pellegrini Editore - Via G. De Rada, 67/c - 87100 Cosenza I dattiloscritti, le bozze di stampa e i libri per recensione debbono essere inviati alla Direzione. La responsabilità di quanto contenuto negli scritti appartiene agli autori che li hanno firmati. Gli articoli non pubblicati non vengono restituiti.

Editoriale

 

Monografica
Etnopsichiatria nella contemporaneità
A cura di Piero Coppo, Laura Faranda, Salvatore Inglese

Psichiatria, etnopsichiatria e oltre
Piero Coppo 11

Specificità dell’etnopsichiatria
Tobie Nathan 25

Da dove vengono quei bambini così strani? Logiche dell’esposizione nella psicopatologia dei bambini migranti
Marie Rose Moro 42

Contrappunti di pratiche e teorie per una psichiatria culturalmente orientata
Salvatore Inglese 60

Memorie di morte e vissuti psicopatologici dei migranti: prime riflessioni per una psicoterapia culturalmente sensibile
Giuseppe David Inglese, Azzurra Tavano 80

L’etnopsichiatria e i Servizi pubblici di salute mentale: aspetti clinici, politici e organizzativi del lavoro transculturale
Sergio Zorzetto, Giuseppe Cardamone 95

Ernesto De Martino e la clinica della cultura. Un itinerario critico per un’etnopsichiatria della contemporaneità
Laura Faranda 116

Roqya shari’ya. La tecnica di cura coranica dello Shaykh Hassan Saber a Salè (Marocco)
Fiorella Giacalone, Assia Hafid 142

 

Miscellanea

 

Descrivere e narrare. Due stagioni della fotografia psichiatrica in Italia
Francesco Faeta 177

Interconnessioni: rischio, reciprocità e vulnerabilità di fronte alla pandemia
Elisabetta Dall’Ò 208

Goccioline. Permeabilità fisica e simbolica nel contrasto alla diffusione del coronavirus
Piero Vereni 231

 

Camera oscura

 

La “macchina degli spettri”. Note di lettura su Fantasmi fuori posto
Gianfranco Spitilli 251

Gianni Chiarini: intervista. Roma 13 febbraio 2021
Gianfranco Spitilli 271

Fantasmi fuori posto. Fotografie marzo-maggio 2020
Gianni Chiarini 287

 

Si parla di…

 

Film e scrittura nella documentazione del profetismo africano
Valerio Petrarca 335

Frank Cancian, fotografo e antropologo in Italia
Antonello Ricci 342

Letizia Battaglia e le Storie di strada: una mostra fotografica
Gianfranco Spitilli 351

 

Recensioni

 

Notiziario 382

La scomparsa di Piero Coppo mentre era in lavorazione questo numero di “Voci” ha creato in tutti noi un sentimento di profondo sgomento. Sul suo profilo scientifico, sulle sue doti di umanità, sul suo carisma avrò modo di tornare in un ricordo personale. In queste pagine preferisco onorare gli esiti di uno dei suoi ultimi impegni in vita, che lo iscrive (assieme a Laura Faranda e a Salvatore Inglese) tra i curatori della sezione monografica dedicata all’Etnopsichiatria nella contemporaneità. Una proposta che Coppo formulò in prima persona in un documento indirizzato al Comitato di direzione della rivista, nel giugno 2020, e che nasceva dall’esigenza di mettere a giorno un’alleanza di lungo corso, oggi non più eludibile, tra l’antropologia e le discipline della psiche: l’etimo stesso dell’etnopsichiatria segnala del resto la necessaria compresenza delle discipline umane applicate (etnologia, antropologia culturale, sociologia) e di quelle psichiatriche, psicoterapeutiche, psicoanalitiche. Piero Coppo era maestro dell’ascolto e del dialogo a più voci: l’attitudine al confronto con i processi di plasmazione culturale nella presa in carico delle patologie degli “altri” è ampiamente documentata dalla sua produzione scientifica, sempre nutrita e arricchita dalla sensibilità antropologica acquisita nei lunghi anni di ricerca sul campo, soprattutto fra i Dogon del Mali. Nell’ultimo decennio, tuttavia, aveva esplicitato in più sedi la necessità di abilitare definitivamente un’etnopsichiatria critica e radicale, pensata per tutti i contesti etnici (compreso il nostro), sensibile ai diversi stress-test dell’ipermodernità, alle domande di una cultura occidentale vessata da un’epoché radicale (nuove epidemie, sacche di povertà, dipendenze da sostanze, “vite di scarto”, traumi di guerra). Né è casuale che una simile istanza si sia tradotta nell’attivazione e nella direzione, a partire dal 2013, della Scuola di specializzazione in psicoterapia “Sagara”, l’unica in Italia a orientamento etnopsichiatrico. Questa sezione monografica è stata concepita proprio per tentare di rispondere anche in sede teorica alla sfida di uno spaesamento che implicitamente rinvia, in questo nostro oggi, a nuove politiche, nuovi progetti di mondo, nuove biodiversità. Nel suo articolo Psichiatria, etnopsichiatria e oltre, concepito con intento introduttivo della “Biblioteca” monografica, Coppo analizza così le basi epistemologiche e la progressiva affermazione dell’etnopsichiatria, ne propone il confronto con la psichiatria transculturale, la distanza teorico-pratica tra Georges Devereux e Tobie Nathan – rispettivamente il fondatore e l’innovatore di quella metodologia – per concludere con alcune illuminanti intuizioni sulla necessità di dilatarne le trame operative, alla luce delle precipitose trasformazioni culturali, anche in un mondo occidentale coinvolto in mutamenti periodici e accelerati, sempre più esposto a “nuove patologie” finora inedite. A un saggio antesignano di Tobie Nathan, Specificità dell’etnopsichiatria, si affida il compito di definire meglio i precursori, i campi semantici e le radici epistemologiche di una disciplina che fin dai suoi esordi ha tentato di interrogarsi criticamente sui confini della psicopatologia, sulla natura del concetto di guarigione, sulla validità delle teorie elaborate dalle diverse culture. Senza soluzione di continuità, l’articolo di Marie Rose Moro (ripubblicato in edizione italiana per l’attualità della sua cifra innovativa) mette in gioco l’implicita “parentela ascendente” tra la psicopatologia della migrazione minorile e un’antropologia sensibile al richiamo della voce mitica. Da dove vengono quei bambini così strani? si chiede l’autrice. La domanda la legittima un confronto serrato tra le logiche di “esposizione” dei bambini migranti e la categoria del “bambino esposto” nella mitologia classica; i casi clinici presentati si manifestano come una riattualizzazione esemplare del motivo mitico dell’esposizione di un bambino al trauma dell’esilio. In linea di continuità con le intuizioni di Moro, Salvatore Inglese nei suoi Contrappunti di pratiche e teorie per una psichiatria culturalmente orientata ci sfida a sua volta a una riflessione sulla necessità di un aggiornamento progressivo delle discipline euroculte interessate alla salute mentale. La sua esperienza di clinico, da decenni impegnato nelle trincee di contesti costitutivamente liminari, ci lascia intuire le potenzialità di una etnopsichiatria del futuro, consapevole degli elementi di psicopatologia etnoclinica che interessano le popolazioni in movimento e che il clinico occidentale deve sentirsi chiamato a decifrare, accettando tutte le perturbazioni cognitive che ne conseguono. In Memorie di morte e vissuti psicopatologici dei migranti: prime riflessioni per una psicoterapia culturalmente sensibile, Giuseppe David Inglese e Azzurra Tavano sottolineano la necessità strategica, nell’intervento clinico, di conoscere le rappresentazioni e le tecniche culturali che caratterizzano l’ideologia della morte nelle società originarie di pazienti migranti, spesso vittime di traumi individuali e collettivi. Sergio Zorzetto e Giuseppe Cardamone, nell’articolo dedicato a L’etnopsichiatria e i Servizi di salute mentale approfondiscono in una duplice prospettiva metodologica tanto le potenzialità del lavoro multidisciplinare nei servizi di comunità, quanto l’approccio critico alla mediazione linguisticoculturale in salute mentale. La sezione monografica si chiude con due proposte riflessive rispettivamente declinate su una prospettiva teorica e su un’esperienza etnografica. Il saggio di Laura Faranda Ernesto De Martino e la clinica della cultura. Un itinerario critico per un’etnopsichiatria della contemporaneità evidenzia come le riflessioni dell’ultimo De Martino sulle apocalissi psicopatologiche de La fine del mondo abbiano rappresentato una sorta di officina permanente di pensiero, legittimando nuove e fruttuose sponde di dialogo tra l’antropologia e l’etnopsichiatria. L’articolo di Fiorella Giacalone e di Assia Hafid, Roqya shari’ya. La tecnica di cura coranica dello Shaykh Hassan Saber a Salè, sintetizza infine un’esperienza di ricerca sulle pratiche di cura coranica di un “guaritore di follia” marocchino, che implicitamente ci inducono a disambiguare il termine follia, ad accogliere le complessità epistemologiche del disordine mentale. Il valore aggiunto dell’etnografia prodotta dalle autrici risiede anche nelle potenzialità di un’antropologia multisituata, che consente al tempo stesso di osservare le tecniche terapeutiche poste in atto nei luoghi d’origine e di compararle con le sintomatologie presenti in soggetti che sperimentano la diaspora migratoria. La sezione “Miscellanea” della rivista si apre con un articolo di Francesco Faeta che abbiamo inteso accogliere come fil rougedi connessione tra le due sponde riflessive di questo numero. Il saggio Descrivere e narrare. Due stagioni della fotografia psichiatrica in Italia si sofferma infatti sulle rappresentazioni fotografiche del disturbo mentale, con l’intenzione di apportare – attraverso una documentazione che spazia dalla seconda metà del XIX alla seconda metà del XX secolo – un contributo alla comprensione antropologica delle vicende legate all’istituzione psichiatrica, con particolare riferimento alla situazione italiana. Dalle immagini tragiche dell’internamento psichiatrico, nell’articolo di Gianfranco Spitilli La “macchina degli spettri”. Note di lettura su Fantasmi fuori posto, il fuoco dell’obiettivo fotografico si sposta nello scenario spettrale della città di Teramo in tempo di pandemia. Il reportage prodotto tra marzo e aprile del 2020 dal fotografo Gianni Chiarini, su cui si incentra “Camera oscura”, diventa così per Spitilli pretesto per riflettere sulle risonanze antropologiche di uno spazio urbano attraversato da ombre, da figure incorporee sorprese nella loro inquietante animazione, con i volti inghiottiti da mascherine bianche che sembrano evocare l’allucinazione, la profezia di un’immaginazione patologica. Continuando a scorrere la miscellanea, sull’uso delle mascherine – e sulle retoriche dell’uso di uno dei dispositivi di protezione più controversi nella storia delle pandemie – si sofferma Elisabetta Dall’Ò nell’articolo Interconnessioni: rischio, reciprocità e vulnerabilità di fronte alla pandemia, che si offre come riflessione teorica sulle evoluzioni politiche, sanitarie, culturali e in ultima istanza simboliche di uno strumento la cui lunga e consolidata tradizione è attestata a partire dal Rinascimento. Che la dimensione simbolica del contagio sia inestricabilmente intrecciata con quella clinica appare chiaro anche nell’articolo Goccioline. Permeabilità fisica e simbolica nel contrasto alla diffusione del coronavirus, in cui Piero Vereni, dopo aver delineato una rapida etnografia del virus, auspica un’antropologia pensata e praticata anche come dispositivo di cura per il dolore collettivo, tanto più in un quadro pandemico che sembra aver sradicato gli ultimi residui del fondamento rituale del vivere associato. Tre brevi saggi di argomento antropologico-visivo compongono la sezione “Si parla di…”: Film e scrittura nella documentazione del profetismo africano di Valerio Petrarca riguarda la pubblicazione del volume con due DVD allegati Vivre avec les dieux. Sur le terrain de l’anthropologie visuelle di Marc Augé, Jean-Paul Colleyn, Catherine De Clippel et Jean-Pierre Dozon; Frank Cancian, fotografo e antropologo in Italia di Antonello Ricci ha come tema la mostra Un paese del Mezzogiorno italiano – Lacedonia, 1957 a cura di Francesco Faeta e il volume a essa collegato; Letizia Battaglia e le Storie di strada: una mostra fotografica di Gianfranco Spitilli è incentrato sulla figura e l’opera della famosa fotografa palermitana. Un’ampia sezione di recensioni e il notiziario concludono, come di consueto, questo numero che uscirà in versione cartacea ad abbonamento e dopo dodici mesi sarà disponibile ad accesso aperto all’indirizzo: https://voci.info/. A partire dal numero del 2020, infatti, “Voci” ha una pagina web sulla quale, in base a un accordo fra il Comitato di direzione e l’Editore Pellegrini, l’ultimo numero della rivista diventa ad accesso aperto dopo dodici mesi. Nel sito sono già scaricabili tutti i numeri fino al 2019 – quello del 2020 lo sarà a gennaio 2022 – in seguito a un lungo e impegnativo lavoro di adeguamento e di integrazione dei materiali pregressi che ha visto impegnato tutto il Comitato, in particolare Fulvio Librandi, Antonello Ricci e Gianfranco Spitilli. A tutti, indistintamente, va la mia gratitudine per questo ennesimo passo avanti nell’innalzamento della qualità e nell’ampliamento della diffusione internazionale della nostra rivista.

Monografica

ETNOPSICHIATRIA NELLA CONTEMPORANEITA'
a cura di Piero Coppo, Laura Faranda, Salvatore Inglese

Abstract

Abstract Starting from his long and deep fieldwork (Mali), the Author examines the diffusion of Ethnopsychiatry in Italy, proposes its comparison with Transcultural psychiatry and highlights the theoretical-practical distances between G. Devereux and T. Nathan, respectively founder and innovator of that methodology. The epistemological foundations of Ethnopsychiatry – updated by Nathan thanks to the collaboration of B. Latour, I. Stengers and P. Pignarre – are also illustrated. The article also highlights some similarities and differences between the Ethnopsychiatry and the anti-psychiatry and anti-institutional currents of the 1960s. All these currents recognize the patient as the interpreter of a conflictual subjectivity shaped by the work of society and culture. Clinicians and therapists are the product of the same process. They are therefore the representatives of historically determined ideologies and worldviews and cannot wave a single and universal knowledge. When they take this ideological position, in fact, they stigmatize the therapeutic practices of other cultural worlds and degrade them to beliefs with no real benefit for the suffering and with no respect for the scientific canon of Western rationality

Keywords: ethnopsychiatry, trancultural psychiatry, traditional knowledge, critics of the science.



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Abstract

The author argues that the classical concepts of Psychiatry and Anthropology contain an internal contradiction with respect to the definition of Ethnopsychiatry. This contradiction obliges us to better define the: boundaries of psychopathology; nature of healing; validity of the theories developed by different cultures; new science of groups. Finally, the author proposes to renew Psychopathology and Anthropology in the light of Ethnopsychiatry which applies an original methodology capable of always questioning the concepts of Comparative psychiatry and Transcultural psychiatry.

Key words: ethnopsychiatry, comparative psychiatry, transcultural psychiatry, cultural theories, group science.



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Abstract

Abstract The concept of "exposure child", taken from mythology and anthropology is an efficient dynamic representation for analysing the psychopathology of children of migrants. To be born and to grow up in a land of exile has a traumatic value for the child. In differed action, this psychological event operates as a true exposure. In this study, this hypothesis is being tested with clinical facts.

Key words: exposure, trauma, children of migrants, vulnerability.



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Abstract

Abstract Migratory movements require ongoing updates of mental health care disciplines based on ethnocentrism (E. de Martino). This disciplinary assumption generates severe difficulties in caring for suffering populations from radically different cultural worlds, whose customs and norms are often little known and conflicting (T. Nathan). Although general Ethnopsychiatry is animated by collaborative efforts to renew clinical knowledge and psychotherapeutic practice, it continues to convey a cognitive perturbation effect that often makes adaptation challenging in diverse care systems and therapeutic relationships (G. Devereux).

Key words: ethnoclinics, ethnopsychiatry of the future, geoclinical psychopathology, metacultural psychotherapy.



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Abstract

Abstract The authors examine the memories of immigrants related to their death experiences and argue that the analysis of these memories represents the strategic moment of the clinical intervention. This technical step seems necessary when immigrants have suffered severe individual and collective traumas. The authors emphasize the importance of knowing the representations and cultural techniques that deal with the death-events in the patients' societies. This knowledge is favored by the so-called "cultural empathy", a subjective attitude and specific technical tool for the psychological treatment of immigrants.

Key words:migrants, memory, death-event, cultural empathy.



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Abstract

Abstract The authors address the question of how ethnopsychiatry can be received, understood and practiced by the Italian public mental health services, based on their experience in Prato (Tuscany). The analysis is developed by a double methodological level: at the first point, we worked on the meaning of multiprofessional and multidisciplinary work and opportunities that comes with it; on the other hand, we carried out a careful critical review of cultural linguistic mediation in mental health. The operational horizon that forms the background to the experience described is that of good practices in community mental health.

Key words: ethnopsychiatry; community mental health; ethnoclinical mediation.



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Abstract

Abstract This paper intends to reflect on how and to what extent the works of De Martino can point to new shores of dialogue between anthropology and ethnopsychiatry. The laboratory of last De Martino, his reflections on psychological apocalypses in La fine del mondo have represented a sort of permanent workshop of thinking for those who, in recent decades, have questioned themselves about his role in an ethno-psychiatric educational context. Ethnographer of the culture of his time, De Martino leaves an inescapable and still fully practicable legacy to contemporary ethnopsychiatry, both in terms of theoretical speculation and methodological proposals to be shared.

Key words:Ernesto De Martino, psychological apocalypses, ethnopsychiatry.



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Abstract

Abstract This essay summarizes the results of a research on Koranic healing practices that take place at the RoqyaShar'ya Center in the city of Salè, Morocco. Such practices are connected with the personal liberation from the spirits (jinn), which are seen as causes of possession through magic (sihr). The roqyashar'ya technique is carried out in order to reveal the spirit that is hidden, identifying it by means of reciting the Koran. Besides presenting an original ethnographic material, the essay reflects on the gender dynamics that mark this treatment: possession expresses a submerged form of women's protest against social marginalization; the Koranic practice aspires to a form of normalization and resolution – authorized and legitimized by orthodox islam itself – of that discomfort.

Key words:jinn, exorcism, transe, etnopsychiatry, koranic healing.



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Miscellanea

Abstract

Abstract This essay focuses on photographic representations of mental disease, in order to give a contribution, through some considerations on the medium and its expressive means, to the anthropological understanding of the events related to the psychiatric institution, with particular reference to the Italian situation. Comparatively, two significant seasons of photographic representation are considered, those of the second half of the Nineteenth and Twentieth, thinking of them as indicative of a deep transformations, albeit within the common function, typical of the medium, of device (dispositif, Foucault). In the first of these seasons, the anthropometric and classificatory character of photography, its descriptive vocation, matured in the context of a precise elaboration of visual paradigms, firmly support the segregating and medical approach of psychiatry, posing the disorder, in a relationship of clear functionality with respect to the identity policies of the national bourgeoisie, on the backdrop of an extended marginal and alien universe; in the second one, in the context of a changed attitude of the bourgeoisie, of a profound revisiting of the asylum's features, even photography, through a radical modification of its representative paradigms, offers support to a decisive action of deconstruction of madness and its institution. Photographic description, therefore, or photographic narration of the discomfort and psychiatric disease categorize two seasons of cultural and social policy, two different attitudes in front of otherness.

Key words:Otherness, Photography, Mental disease, Description, Narration.



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Abstract

Abstract This contribution, starting from the analysis of the historical, cultural and environmental context in which we are living and in which the covid-19 pandemic originated, proposes a theoretical reflection on the political, health and cultural evolutions on the use (and on the rhetoric on the use) of one of the most controversial individual protection devices in the history of pandemics: the mask. An object-symbol, from the so-called spanish flu (1918-1919) to the covid-19 pandemic, the mask has also become a central element in the claims of the 'no mask' movements. If, as the anthropology of disasters has highlighted, the way in which they are perceived, communicated and contextualised plays a decisive role in determining the responses of the subjects involved and in the practices of institutional intervention, it is then evident how the – strongly contradictory – communicative rhetoric concerning the use of these individual protection devices have, not only in the early stages of the emergency but also in those of 'living with the virus', played a decisive role in increasing vulnerability and reducing the effectiveness of the measures taken.

Key wordsvulnerability, risks, pandemic, masks, anthropocene.



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Abstract

Abstract This paper has a dual purpose. By outlining a rapid "ethnography of the Coronavirus", it aims to demonstrate how the symbolic and the clinical dimensions of the virus are inextricably intertwined. The droplets of saliva and the aerosol (the first channels of transmission of the virus) are evidence of the physical permeability of the late- modern subject, thus undermining the completeness of the process of civilisation depicted as a process of individuating impermeability (Elias 1988). The second purpose of the essay is intentionally critical of the disengagement that cultural anthropology still shows towards its therapeutic function, forcing itself into the binarism between being a "theoretical science" and therefore detached, or "militant practice", and therefore a mere political project. Anthropology, I argue on the other hand, could be more fruitfully conceived and practiced as a healing device for collective pain. Experts in the rhythm of the social, anthropologists should propose themselves as therapists of the symbolic body of our species, collaborating with their expertise to restore the rhythm of time and space jeopardised by the pandemic.

Key words: Coronavirus, care work, symbolism, subject, permeability.



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Camera Oscura

Abstract In this paper I analyze a street photography series of a small provincial town during the first months of the spread of the Covid-19 pandemic in Europe, mainly between March and April 2020. The photographer Gianni Chiarini investigated his hometown Teramo as an abstract place but filtered through the relation of great familiarity that he has with the city. A picture of profound existential and territorial unease emerges, in which photography affirms itself as a device of unveiling – "machine of the spectres" –, giving light to unexpected presences and showing the emotional uncoordination that humans can run into. The photographic observation of this moment of forced social marginalization thus becomes the laying bare of a wider exclusion, of vulnerability of the terrestrial condition that the misplaced ghosts emanate, like a lucid and surprising discovery of which we should perhaps grasp the transformative and evolutionary aspect, the promise and commitment of a planetary rite of passage.

Key words: photography, unveiling, ghosts, pandemic, Covid-19.

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Si parla di...

Recensioni

Marta Bazzanella, Giovanni Kezich (ed. by), Shepherds Who Write. Pastoral graffiti in the uplands of Europe from prehistory to the modern age, BAR Publishing (p. 358 ); Alberto M. Cirese, Pietro Clemente, Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori, Edizioni Museo Pasqualino (p. 359); Matteo Collura, Baci a occhi aperti. La Sicilia nei racconti di una vita, TEA (p. 361); Maurizio Coppola, Construire l’italianité. Traditions populaires et identité nationale (1800- 1932), L’Harmattan (p. 363); Carmen Federici, Storia di uno, storia di tanti. Diario di prigionia di un internato militare italiano, Chillemi edizioni (p. 364); Piercarlo Grimaldi, Fulvio Romano (a cura di), Il risveglio dell’orso occitano: miti e riti del selvatico alpino, Omega, (p. 366); Vincenzo Matera (a cura di), Storia dell’etnografia. Autori, teorie, pratiche, Carocci e Berardino Palumbo, Lo sguardo inquieto. Etnografia tra scienza e narrazione, Marietti (p. 368); Edizioni Museo Pasqualino (p. 370); Massimo Pirovano, Fiabe e altre storie ascoltate in Brianza, Museo etnografico dell’Alta Brianza (p. 372); Claudio Rizzoni, Musica e rito nel culto della Madonna dell’Arco, Neoclassica (p. 373); Glauco Sanga, La fiaba. Morfologia, antropologia e storia, CLEUP (p. 376); Joyce Sebag, Jean-Pierre Durand, La sociologie filmique. Théories et pratiques, CNRS Éditions (p.378); Gianfranco Spitilli, L’ascolto e la visione. Don Nicola Jobbi e l’Appennino centrale del XX secolo, Bambun-Edizioni Centro Studi Don Nicola Jobbi (p. 380).



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Giuseppe Cardamone, medico psichiatra e psicoterapeuta, è direttore dell’Unità Funzionale Complessa Salute Mentale Adulti di Prato e direttore dell’Area Salute Mentale Adulti del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’Azienda USL Toscana Centro. Svolge il ruolo editor in chief della rivista online Nuova Rassegna di Studi Psichiatrici. Autore di numerosi articoli e saggi a tema psicopatologico, etnopsichiatrico e antropologico-medico, ha scritto con Sergio ZorzettoSalute mentale di comunità. Elementi di teoria e pratica(2000) e con Salvatore Inglese Déjà vu. Tracce di etnopsichiatria critica e Déjà vu 2. Laboratori di etnopsichiatria critica(2010, 2017).

Piero Coppo è stato medico, neuropsichiatra e psicoterapeuta, ha insegnato Etnopsichiatria all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha lavorato in Mali e in Guatemala in programmi in cooperazione sulla medicina tradizionale. Ha diretto la scuola di specializzazione in etno-psicoterapia “Sagara”.Ha diretto la rivista “I Fogli di ORISS” e pubblicato numerosi saggi tra i quali Etnopsichiatria (1996) Guaritori di follia. Storie dell’altopiano Dogon (1994);Tra psiche e cultura. Elementi di etnopsichiatria (2003);Le ragioni del dolore. Etnopsichiatria della depressione (2005);Negoziare con il male (2007); Le ragioni degli altri (2013). Ha lavorato come psichiatra e psicoterapeuta a Pisa.

Elisabetta Dall’Ò è un’antropologa italiana con una significativa esperienza di ricerca sul campo (e nel campo) dei cambiamenti climatici. Formatasi a Torino con Francesco Remotti e Pier Paolo Viazzo, ha conseguito il dottorato di ricerca (2014-2018) in Antropologia Culturale e Sociale presso l’università di Milano-Bicocca sotto la direzione di Ugo Fabietti e di Mauro Van Aken. Negli ultimi due anni è stata postdoctoralresearchfellow all’Università degli Studi di Torino lavorando al progetto di ricerca “Mont Blanc in the Anthropocene: anthropologicalanalysis of the effects of climatechange in the heart of the Alps”. Attualmente è docente a contratto di Antropologia dei cambiamenti climatici e di Antropologia medica presso l’Ateneo torinese. Ha creato e cura la pagina Intemperie: Laboratorio permanente di antropologia dei cambiamenti climatici in collaborazione con gli studenti e le studentesse del LabACC. È redattrice della rivista di microstoria “Contesti” ed è autrice di numerose pubblicazioni nazionali e internazionali.

Francesco Faeta è professore ordinario di Antropologia culturale. Ha insegnato presso l’Università della Calabria e l’Università di Messina e insegna ora, come professore esterno, Antropologia Visiva presso la Scuola di Specializzazione per i Beni Culturali DEA dell'Università "La Sapienza" di Roma. Docente Erasmus per diversi anni presso le Università di Valladolid e de' A Curuña, in Spagna, è stato Direttore di Studi invitato all'ÉcolePratiquedesHautesÉtudes di Parigi, nel 2004, fellow e associate researcher dell'Italian Academy for Advanced Studies in America presso la Columbia University, nel 2012. Ha effettuato ricerche etnografiche e antropologiche in ambito europeo, con particolare riferimento al Mezzogiorno d’Italia. Fa parte dei comitati scientifici di numerose riviste italiane e straniere(tra le quali "Visual Ethnography", "Antropologia" "RSF - Rivista di Studi di Fotografia", "Voci") e dirige, per l’Editore FrancoAngeli, la collana Imagines. Studi visuali e pratiche della rappresentazione.  Ha fatto parte della Commissione Italiana UNESCO, ed è membro del Comitato Direttivo della SISF (Società Italiana per lo Studio della Fotografia) e socio ordinario della SIAC (Società Italiana di Antropologia Culturale). Tra le sue ultime pubblicazioni Le ragioni dello sguardo. Pratiche dell'osservazione, della rappresentazione e della memoria (2011); Fiestas, imágenes, poderes. Una antropología de lasrepresentaciones (2016); Il nascosto carattere politico. Fotografie e culture nazionali nel secolo ventesimo (2019); La passione secondo Cerveno. Arte, tempo, rito (2019); L'albero della memoria. Scritture e immagini (2021).

Laura Faranda, antropologa,è professore ordinario in Discipline etno-antropologiche all’Università di Roma “Sapienza”. Tra i suoi percorsi di ricerca: l’antropologia del mondo antico; l’antropologia simbolica e di genere, l’antropologia dei processi migratori, la psichiatria coloniale, l’etnopsichiatria e la mediazione etnoclinica. È membro della SIAC (Società Italiana di Antropologia Culturale),ha condotto ricerche sul campo in Italia, Senegal, Mali e Tunisia, è referente dell’Ateneo “Sapienza” per le relazioni con la Tunisia. Tra le sue pubblicazioni: Le lacrime degli eroi. Pianto e identità nella Grecia antica (1992); con B. Callieri, Medusa allo specchio. Maschere fra antropologia e psicopatologia (2002); Viaggi di ritorno. Itinerari antropologici nella Grecia antica (2009); La signora di Blida. SuzanneTaïeb e il presagio dell’etnopsichiatria (2012); Anime assenti. Sul corpo femminile nel Mediterraneo antico (2017); con S. Minetti, Guardami. Visioni, narrazioni, anatomie del seno (2019).

Fiorella Giacalone è professore ordinario di Antropologia socioculturale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia; è stata fino al 2019 coordinatrice dei corsi di laurea triennale in Servizio Sociale e magistrale inSociologia e Politiche Sociali. È socia della SIAC, della EASA (EuropeanAssociation Social Anthropologist), della SIEF (International Society for Ethnology and Folklore), è antenne italienne della rete europea di antropologi FER Eurethno del Consiglio d’Europa. “Premio Scanno” per l’antropologia nel 2014 e “Premio Cassano per l’antropologia” nel 2019. Si interessa di antropologia religiosa e di antropologia medica, in particolare di simbolismi corporei femminili nel cattolicesimo e nell’islam. Ha svolto ricerca in Marocco sui guaritori tradizionali a Tissint.Si occupa di seconde generazioni, islamofobia e hatespeech. Alcunepubblicazioni: Bismillah. Saperi e pratiche del corpo nella tradizione marocchina(2007); Impronte divine(2012); Les enfants d’immigrée en Ombrie (2012); L’Europe pèlerine (con L.S. Fournier, 2017); Local Identities and TransnationalCultswithin Europe (con K.Griffin, 2018);Il territorio oltre i luoghi di cura. Innovazione sociale e continuità nei servizi rivolti alla salute mentale(2019); Islamofobia e sessismo nella rappresentazione delle donne musulmane in Italia (2020).

Assia Hafid ha conseguito la Laurea magistrale in Sociologia e Politiche Sociali, Università degli Studi di Perugia (2019), con una tesi in Antropologia culturale dal titolo “Medicina tradizionale in Marocco: una ricerca diretta con un guaritore a Salè”. La sua ricerca è nata da un interesse per l’etnopsichiatria e per la conoscenza diretta delle pratiche di cura in ambito islamico. La ricerca si è focalizzata sulla modalità di cura coranica, la roqyashar’ya presso unoshaykh, a Salè, la città del Marocco che fronteggia Rabat, da cui la separa un ponte sul fiume BouRegreg.

Dal 2017 opera come mediatrice linguistico-culturale nelle scuole superiori in Umbria, negli Uffici di Cittadinanza e nel Tribunale per Minori di Perugia. Dal 2020 prende parte all’équipe multidisciplinare del progetto “Réseaux”: reti di supporto al sistema sanitario locale e alle strutture territoriali di accoglienza nella gestione dei casi di vulnerabilità psico-sociale dei cittadini di paesi terzi nella fase di presa in carico socio-sanitaria.

Giuseppe David Inglese, psicologo e psicoterapeuta, si è interessato allo sviluppo clinico e terapeutico dell'indirizzo fenomenologico verso una direzione antropologico-culturale. Ha maturato esperienze operative nel settore dell'accoglienza ai migranti. Svolge attività educativa integrata in contesti comunitari dedicati ai minori.

Salvatore Inglese, psichiatra, psicoterapeuta, ha maturato una esperienza di lungo corso in psicopatologia delle migrazioni, psichiatria transculturale e antropologia medica. Ha operato all'interno dei Dipartimenti di Salute Mentale della Regione Calabria e collaborato con il "Centre Georges Devereux" - Paris VIII. Consulente, supervisore e didatta presso servizi pubblici e del privato sociale che tutelano la salute mentale dei migranti. È docente della Scuola di Specializzazione a orientamento etnopsicoterapeutico “Sagara” e co-direttore del Corso di Alta Formazione in Clinica transculturale ed etnopsichiatria del Centro Studi Sagara (Pisa). È autore, curatore e traduttore di saggi e volumi di etnopsichiatria, etnopsicoanalisi, psicoterapia transculturale.

Marie Rose Moro, Phd in psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza e psicoanalista, dal 1992 svolge attività didattica e di ricerca nelle Università di Paris XIII e Paris VII. Dal 2008 è Primario del Servizio di Psichiatria dell'Adolescente all’Ospedale “Cochin” di Parigi. Ha fondato e dirige le Consultazioni transculturali del bambino e della sua famiglia” all’Ospedale Avicenne, (Bobigny) e all’ospedale Cochin (Parigi). Ha condotto esperienze di ricerca in Colombia, Kenia, Kosovo, Niger. Dirige la rivista transculturale “L’autre, Cliniques, Cultures et Sociétés”. Tra le sue pubblicazioni: Les enfants de l'immigration: une chance pour demain (2012); con A. Harf, L. Benoit, Phobiescolaire. Retrouver le plaisir d’apprendre (2020); con Odile Amblard, Abussexuels. Le parole est aux enfants (2021); a cura di, con T. Baubet et alii, Manuale di psichiatria transculturale. Dalla clinica alla società (2009).

Tobie Nathan, già docente di Psicologia clinica e psicopatologia all’Università di Paris VIII, è considerato il più autorevole rappresentante dell’etnopsichiatria contemporanea francese. Esperto psicologo presso la Corte d'appello di Parigi, nel 1978 ha fondato con George Devereux la rivista "Ethnopsychiatrica", nel 1979 ha aperto presso l'ospedale Avicenne (Bobigny) il primo consultorio etnopsichiatrico francese; nel 1983 ha dato vita a“La Nouvelle Revue d'ethnopsychiatrie” e nel 2000 alla rivista "Ethnopsy".Nel 1993 ha fondato, nel campus universitario di Paris VIII, il “Centre Georges Devereux”, innovativo luogo di formazione, ricerca e assistenza psicologica alle famiglie di immigrati. Tra le sue pubblicazioni, La follia degli altri: saggi di etnopsichiatria (Ponte alle Grazie, 1990), Principi di etnopsicoanalisi (1996), Non siamo soli al mondo (2003), Una nuova interpretazione dei sogni (2011), con NathalieZajde, Psicoterapia democratica (2013), Quando gli dei sono in guerra (2017).

Valerio Petrarca insegna Antropologia culturale e coordina il dottorato in Scienze storiche nell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Tra i suoi libri: Un prophète noir en Côte d’Ivoire. Sorcellerie, christianisme et religionsafricaines(2008); I pazzi di Grégoire(20218); con L. Gaffuri e A. Melis, Tessiture dell’identità. Lingua, cultura e territorio dei Gizey tra Camerun e Ciad (2019). Ha curato Migranti africani di Castel Volturno, numero monografico di “Meridione. Sud e Nord nel Mondo” (2016).

Antonello Ricci, professore ordinario di Discipline DemoEtnoAntropologiche presso il Dipartimento di Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo (SARAS), Facoltà di Lettere e Filosofia, “Sapienza” Università di Roma, dove presiede il corso di laurea magistrale in Discipline EtnoAntropologiche. Tra le sue più recenti pubblicazioni: L’eredità rivisitata. Storie di un’antropologia in stile italiano(2019, a cura di); Renato Boccassino. Nascita e morte tra gli Acioli: una mostra, qualche riflessione, alcune testimonianze, (2019); Il secondo senso. Per un'antropologia dell’ascolto, (2016).

Gianfranco Spitilli, PhD in Etnoantropologia, è Professore a contratto di Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione del­l’Uni­ver­sità di Teramo e presso “Sapienza” Università di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia. Svolge ricerche nel campo dell’antropologia visiva e sonora, dell’etnologia religiosa, dell’antropologia del Cristianesimo, in Italia centro-meridionale, in Belgio (Vallonia e Limburgo) e in Romania (Transilvania). Dirige il progetto di Cooperazione Internazionale “Réseau Tramontana” (Programma Europa Creativa, GrandPrix Europa Nostra Awards 2020 per la ricerca) per l’area italiana (con Giovanni Agresti), edè fondatore e direttore del “Centro Studi Don Nicola Jobbi. Antropologia, Storia, Linguaggi Multimediali”.Ha realizzato numerosi documentari, videoinstallazioni museali, produzioni discografiche, archivi digitali. Nell’ambito dell’antropologia visiva ha pubblicato, in particolare: Il paese “di mezzo”. Storie di vita e fotografie familiari a Intermesoli (2007, Premio Nigra 2009); L’ascolto e la visione. Don Nicola Jobbi e l’Appennino centrale del XX secolo (2020); con Angela Maria Zocchi (a cura di), Immagini e ricerca sociale. Un dialogo tra sociologia e antropologia (2020).

Azzurra Tavano, psicologa e psicoterapeuta, ha effettuato interventi clinici sui migranti in condizioni di vulnerabilità o di criticità psicosociale presso i servizi di accoglienza della Toscana. Svolge ricerche sull'adattamento applicativo di strumenti cognitivo-comportamentali alle dimensioni e ai fattori culturali espressi dai pazienti.

Piero Vereni è associato di Antropologia culturale nell’Università di Roma “Tor Vergata” e facultymember nel campus romano del Trinity College (Hartford, Connecticut). Dal 2018 dirige il LaPE – Laboratorio di Pratiche Etnografiche presso il PEF – Polo Ex Fienile di Torbellamonaca (Roma) e dal 2020 è affiliate del CUGS – Center for Urban and Global Studies del Trinity College. Ha effettuato ricerche sul campo sul confine della Macedonia occidentale greca (1995-97), sul confine irlandese (1998-99) e nella città di Roma (dal 2000), dove ha condotto ricerche sulla diaspora della paternità bangladese, sulla funzione della reclusione carceraria, sulla diversità religiosa a Roma, sulla funzione politica delle occupazioni a scopo abitativo e sulla gelosia spaziale e il fatalismo territoriale. Durante la crisi pandemica si è convinto che l’antropologia debba tornare ad essere, oltre che un campo di ricerca teorica, anche una disciplina di cura delle e con le comunità di cui tratta. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: De consolationeanthropologiae. Conoscenza, lavoro di cura e Covid-19, in F. Benincasa e G. de Finis (a cura di), Closed. Il mondo degli umani si è fermato (2020); Il glocalismo di Torbellamonaca. Conversazioni periferiche su una città che non esiste più (2021); Perché l’antropologia fa bene alla politica (e aiuta a vivere meglio) (2021).

Sergio Zorzetto, psicologo e psicoterapeuta, Phd in Antropologia ed Epistemologia della Complessità presso l’Università di Bergamo, è specialista ambulatoriale con particolari competenze in etnopsicologia applicata alla salute mentale di comunità nell’U.F.C. Salute Mentale Adulti di Prato. Progettista e clinico esperto negli interventi di promozione della salute mentale per richiedenti asilo e rifugiati. Ha partecipato a programmi di assistenza etnopsichiatrica presso le Aziende USL di Firenze e Prato e ha coordinato il gruppo di psicoterapeuti del Progetto SPRINT – Sistema di protezione interdisciplinare per la salute mentale di richiedenti asilo e rifugiati della Regione Toscana. Autore di numerosi articoli di argomento etnopsicologico; con Giuseppe Cardamone ha scritto Salute mentale di comunità. Elementi di teoria e pratica (2000). Ha curato il volume Richiedenti asilo e rifugiati fra clinica e territorio (2019).